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SERVO DI DIO PADRE GIUSEPPE MARIA LEONE CSSR
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Vita

Cenni Biografici

riportati da "Posizione e Articoli" del Padre Benedetto D'Orazio, già Postulatore della Causa di Beatificazione del Servo di Dio (1923).


Casa natale di Padre Leone in Trinitapoli

Il servo di Dio Giuseppe Maria Leone nacque a Casaltrinità (oggi Trinitapoli), cittadina inserita nella Diocesi di Trani, il 23 maggio 1829 da Nicola Francesco e Rosa  Di Biase.


Chiesa Madre di Trinitapoli

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Il giorno seguente fu battezzato nella chiesa parrocchiale di S. Stefano Protomartire dal Sac. Don Pietro Giannattasio con il permesso del parroco. Suoi  padrini al sacro fonte furono Francesco Paolo Di Fidio e Chiara Leone.


Trani - La Cattedrale.

Ricevette il sacramento della Cresima il 1 ° maggio 1833 dall'Arcivescovo di Trani e Nazareth Gaetano De Franci; gli fece da padrino Francesco Giannattasio.

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Fin da bambino mostrò carattere assai vivace, ma sempre buono ed inclinato alla pietà. Seguiva volentieri in chiesa sua madre, dalla quale fu inizialmente assistito nella recita delle preghiere.
I genitori lo preferivano a tutti gli altri figli, perché mai arrecò loro dispiacere, dimostrandosi sempre affettuoso e disposto a seguire i loro insegnamenti. Non comuni le sue doti d'intelligenza e di memoria, apprezzate specialmente dai sacerdoti e dai maestri che lo seguirono negli studi.
La sua indole vivace lo portava talvolta ad unirsi con i suoi coetanei per darsi a passatempi innocenti, trascurando gli impegni scolastici. Episodio di rilievo avvenuto in quel periodo fu l'incidente in cui rimase coinvolto insieme alla sua comitiva: caddero tutti in un fosso, ma Giuseppe fu l'unico a non riportare alcuna ferita. Disse di aver visto in quella circostanza una signora, che lo soccorse dicendogli: "Non andare più con i compagni! Sii buono e studia". Egli ritenne che quella signora fosse la Madonna. Da quel giorno professò una speciale devozione alla Vergine Santa, onorandola con frequenti preghiere e con il digiuno nel sabato. Fin d'allora si astenne dal frequentare i compagni e fu più assiduo nella partecipazione alla vita della chiesa e nella pratica dei sacramenti.
Insieme alla fede cresceva in lui l'amore per lo studio, che lo spingeva a leggere e ad imparare con grande facilità, agevolato in ciò dalla sua eccellente memoria.



Trani - Il palazzo ex seminario

All'età di dodici anni Giuseppe con gran dolore subì la perdita della madre amatissima. Intanto suo padre, vedendolo proclive alla pietà e allo studio, pensò di mandarlo al seminario di Trani. Arcivescovo di questa città era allora Mons. De Bianchi; rettore del seminario il rev. Samarelli; vice-rettore Don Francesco Conti.
In seminario si fece subito notare per la pietà e per le doti del suo ingegno. Nella sua condotta, tuttavia, emergevano tratti di spassosa vivacità, che se attiravano su di lui la simpatia degli altri seminaristi, gli costarono i severi ammonimenti della Vergine Maria. Infatti, come poi attestò il suo confessore Don Nicola Santo Urbano, in un pomeriggio, mentre Giuseppe secondo l'uso riposava sul suo letto, gli parve di vedere in sogno la Madonna che lo rimproverava per il suo comportamento troppo brioso.
Da quel momento si fece serio, grave, molto attento nell'osservare il regolamento del seminario, tanto che i compagni meravigliati da questo repentino mutamento si burlavano di lui e gli dicevano: "Ti vuoi far santo tutto in una volta?" Ma Giuseppe non intese più recedere dal suo proposito. Lo si vedeva tutto raccolto ed umile, intento unicamente agli esercizi di pietà ed allo studio. Spessissimo poi si accostava alla mensa degli Angeli con singolare fervore.
Si unì in amicizia con un suo compagno, don Nicola Santo Urbano, anch'egli di Casaltrinità (il quale più tardi fu anche suo confessore).
S'incoraggiavano vicendevolmente al bene, e in modo speciale alla devozione verso la Madonna, che onoravano con frequenti preghiere, con mortificazioni e con digiuni.
Erano così spiccate la dolcezza e l'affabilità del suo carattere, che il rettore don Domenico Giannattasio, il quale era d'indole assai collerica, negli scatti non infrequenti del suo umore irascibile faceva chiamare il chierico Leone, perché solo lui con le sue gentili e soavi maniere, riusciva a riportarlo alla calma.
Aveva raggiunto l'età di 20 anni, quando fu chiara in lui la volontà di abbracciare lo stato religioso, entrando nella Congregazione del SS.mo Redentore fondata da S. Alfonso de Liguori. Egli manifestò al padre questa sua vocazione per averne il consenso. Ma il padre, che aveva riposto nel figlio gran parte delle sue umane speranze e aveva fatto progetti diversi, talmente si adirò, che quando Giuseppe nelle vacanze del 1849 tornò in famiglia, lo cacciò di casa facendogli le più gravi minacce. Giuseppe fu allora ospitato da Michele Torraca, suo parente e vicino di casa, finché il padre non si piegò a riceverlo di nuovo, pur mantenendo un atteggiamento di rifiuto nei confronti della scelta espressa dal figlio.
Giuseppe ad ogni modo continuò a pianificare un sistema per realizzare le sue intenzioni e l'occasione non tardò a presentarsi. A Cerignola, non lontano da Casaltrinità, si celebrava ogni anno l'8 settembre la Natività di Maria. Giuseppe chiese a suo padre il permesso di recarsi alla festa di Cerignola. Questi acconsentì; ma, sempre sospettoso del figlio, lo fece accompagnare da un suo genero, al quale raccomandò di fare la massima attenzione ai movimenti di Giuseppe. Nella chiesa di Cerignola, dopo la comunione, indugiando appositamente nell'azione di grazie, convinse il cognato ad aspettarlo fuori della chiesa. Appena si vide libero dalla sorveglianza di quel suo parente, uscì dalla parte della sacrestia e frettolosamente s'incamminò verso Deliceto dove si trovava una casa dei Redentoristi. Il cognato, distratto dal trambusto e dalla confusione causati dalla festa, si accorse troppo tardi della scomparsa di Giuseppe; perciò, tutto mortificato tornò a Trinitapoli, dove lo attendevano gli aspri rimproveri del suocero furibondo.


Deliceto (FG). La Casa della Consolazione che fu fucina redentorista di apostoli, di santi e di cultura.

A Deliceto quei religiosi l'accolsero amorevolmente, ma non lo accettarono subito nella Congregazione. Dategli solo buone speranze, lo rimandarono a casa. Giuseppe si rassegnò a tornare a Casaltrinità e ad affrontare l'ira paterna. Questa infatti scoppiò più acerba che mai, sicché Giuseppe fu costretto a ricoverarsi ancora una volta presso la famiglia del Torraca. Ma non per questo vacillò nel suo santo intendimento.
Non passò molto tempo, quando dai Superiori Redentoristi fu invitato a Nocera dei Pagani, allora residenza del Superiore Generale, per essere esaminato nella sua vocazione.


Pagani - Basilica Sant'Alfonso Maria de Liguori







Andria - Santa Maria dei Miracoli

Con immensa gioia partì subito per Nocera dei Pagani, dove incontrò altri quattro postulanti. I Consultori del Superiore Generale diedero voto favorevole agli altri postulanti, ma negativo a Giuseppe Leone. A giudizio degli esaminatori le sue precarie condizioni di salute non gli avrebbero permesso di svolgere la missione a cui si sentiva chiamato. Ma il Superiore Generale, che in quel tempo era il Rev.mo Padre Ripoli, conoscendo la pietà da cui era animato il postulante, ispirato certo da Dio, rispose: "Ed io accetto anche Leone, perché noi abbiamo bisogno non solamente di quelli che lavorano, ma anche di quelli che pregano". E gli eventi giustificarono pienamente questa valutazione. Giuseppe malgrado la sua malferma salute e le continue sofferenze, non solo pregò intensamente, ma lavorò pure con grande successo per il bene delle anime, fino all'età di 73 anni.
Ma non erano finite le prove dolorose della sua vocazione. Nonostante l'esito favorevole degli esami, egli non fu subito ammesso, ma fu rimandato a casa perché ottenesse il consenso del padre e costituisse il sacro patrimonio, titolo necessario alla sua ordinazione sacerdotale.
Consapevole dei contrasti che l'aspettavano, riprese la via del ritorno. Come previsto, il padre fu irremovibile nel suo diniego; anzi più ostinato che mai, continuò a non volerlo ricevere in casa.
Il servo di Dio, dunque, si rimise alla volontà del Signore, sicuro che senza un intervento speciale del Cielo non avrebbe potuto superare le gravi difficoltà che si opponevano alla sua vocazione. Si trasferì nel frattempo ad Andria presso i religiosi agostiniani che officiavano nel santuario della Madonna dei Miracoli. Vi rimase circa due mesi tra le preghiere e le lacrime, nella speranza di ottenere da Dio, per intercessione della Vergine, il mutamento della volontà paterna.









Ciorani - Casa dei Redentoristi

Tornato a Trinitapoli, ritrovò la stessa ostinata durezza da parte del padre e degli altri parenti. Una lotta così fiera e prolungata finì per abbattere il povero giovane, già troppo delicato di salute, che cadde in una gravissima malattia accompagnata da forti emottisi. Ma anche tra i tormenti del male i parenti non desistevano dal molestarlo, rimproverandogli la sua ostinazione. Gli dicevano: "Ecco, Iddio ti punisce per la tua disubbidienza". Ma Giuseppe certo della chiamata divina, non si piegò alle pressioni dei familiari e attese fiducioso l'ora di Dio. E questa arrivò finalmente a rallegrare il suo cuore. Aggravato dal male, ebbe l'impressione di vedere Gesù in aspetto giovanile, pieno di dolce maestà, che avvicinandosi gli poneva un segno sulla fronte dicendogli: "Tutti ti contraddicono? Ego autem non contradico". Dopo qualche giorno si rialzò dal letto perfettamente guarito. Una buona zia gli costituì il sacro patrimonio, ed il padre inaspettatamente, sebbene controvoglia, diede il consenso alla vocazione religiosa del figlio. Ricevuto il consenso, tutto felice volò alla tanto sospirata Congregazione di S. Alfonso. Era l' 11 marzo 1850: aveva 21 anni. Fu inviato a Ciorani, paese  in provincia di Salerno, perché vi compisse il noviziato. Era allora Maestro dei Novizi il Rev. Padre Saviano Ferdinando.
Vestito l'abito del redentorista, il 30 dello stesso mese si diede con ardore a tutti gli esercizi della vita regolare. Presto si distinse tra i suoi connovizi, mostrandosi un modello d'ogni virtù religiosa.
Ma non erano finite le prove della sua vocazione.
Durante il noviziato si ammalò nuovamente: l'emottisi mise in grave pericolo la malferma salute di Giuseppe. I Superiori preoccupati del suo stato di salute, furono sul punto di congedarlo, ma un nuovo miglioramento del suo quadro clinico li dissuase  dal prendere questo provvedimento. Il Servo di Dio fece così la sua professione il 23 marzo 1851.

Dopo la professione fu mandato a completare gli studi nella casa di Deliceto in Puglia. Nel luglio 1852 si trasferì a Vallo di Novi perché le condizioni climatiche della zona erano più confacenti alla sua salute. In questa località prosegui ed ultimò gli studi. Finalmente giunse la data da lui agognata: l'ordinazione sacerdotale. Dopo aver preso da Mons. Vincenzo Marolda Vescovo di Samosata ed Amministratore di Vallo di Novi gli ordini minori, ricevette ad Amalfi dal Vescovo della medesima città il Diaconato ed infine il 31 dicembre 1854 sempre ad Amalfi il sacerdozio.
Dopo l'ordinazione sacerdotale tornò a Vallo, dove rimase per circa dieci anni. Per tutto questo tempo, nei limiti consentitigli dalle sue condizioni di salute, non cessò mai d'impegnarsi nelle opere del ministero sacerdotale. Infatti, non solo a Vallo, ma anche nei centri limitrofi esercitò il suo apostolato, annunziando la parola di Dio con prediche, catechesi e missioni. Era tanto l'ardore con cui lavorava per la salute delle anime, e tale l'edificazione che dava con le sue virtù, che presto fu da tutti conosciuto e venerato come un santo.

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Trinitapoli - Foto storica della Chiesa Madre di S.Stefano



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Trinitapoli - Foto storica della Chiesa di S.Giuseppe e del Municipio









Quadro e statua della Nostra Signora del Sacro Cuore conservati a Trinitapoli nella chiesa di San Giuseppe

Ma le misure restrittive adottate dal neonato Regno d'Italia nei confronti degli istituti conventuali interruppero il suo apostolato in queste terre. In forza delle leggi di soppressione del 29 maggio 1865, nella notte del 15 giugno dello stesso anno fu costretto ad abbandonare la casa di Vallo e tornò ad abitare presso la casa paterna.
A Trinitapoli con la santità della vita e lo zelo dell'attività si guadagnò presto la stima di tutti. L'Autorità ecclesiastica gli affidò l'ufficiatura della chiesa di S. Giuseppe, e lo nominò direttore della Congregazione ivi stabilita. Era meravigliosa l'attività del servo di Dio, pur se disturbato dalle sue continue infermità. In occasione delle solennità liturgiche predicava ai confratelli della Congregazione. Tutti i venerdì celebrava speciali funzioni in onore del Cuore Divino di Gesù. Il primo venerdì d'ogni mese praticava l'esercizio dell'apostolato della preghiera alla presenza di numerosi fedeli. Tutti gli anni predicava il mese mariano, facendosi talvolta aiutare da qualche altro sacerdote, se le forze fisiche gli venivano meno. Predicava con particolare partecipazione le sette domeniche precedenti la festa di S. Giuseppe. Inoltre non rifiutava mai di predicare la parola di Dio anche per conto di quei religiosi che non fossero in condizione di farlo. Nel 1876 venne a mancare improvvisamente il quaresimalista. Pregato di sostituirlo, accettò volentieri. Giorno per giorno preparava il sermone, sostando in raccoglimento innanzi al Santissimo Sacramento.
Elevato era pure il numero di coloro che andavano da lui per i bisogni della propria coscienza. Passava lunghe ore nel confessionale ad ascoltare le confessioni delle donne. Gli uomini invece preferivano andare a confessarsi a casa sua per trovarsi a loro miglior agio. Ma tanta era l'affluenza dei penitenti, specialmente in tempo di quaresima, che l'anticamera e le scale erano assai spesso affollate. Ad accrescere poi la stima e la fiducia verso il loro santo confessore, occorsero episodi spiegabili soltanto con il ricorso all'intervento del soprannaturale. Tra le altre, una volta, mentre la casa del servo di Dio era piena di uomini in attesa di confessarsi, egli, ad un tratto, si alzò e andando in mezzo a tutti i penitenti disse: "Qualunque cosa avvenga, non abbiate paura, io sono con voi". Non passarono dieci minuti, che si avvertì una forte scossa di terremoto che fece tremare tutta la casa. Egli col sorriso sulle labbra rincuorò tutti, invitandoli a riprendere la preparazione alla confessione. Anche quasi tutti i sacerdoti del paese lo scelsero come confessore e direttore della propria coscienza.
Nel 1867 scoppiò a Trinitapoli il colera che seminò molti lutti tra i cittadini: morivano anche trenta persone al giorno. Padre Leone, sebbene sofferente, si prodigò nell'opera di soccorso ai colpiti dal morbo. Per debellare quella malattia che falcidiava la popolazione, chiese l'intercessione della Madonna. Fece esporre in chiesa un quadro di Nostra Signora del Sacro Cuore ed invitò il popolo a ricorrere a Lei con fiducia. Il popolo rispose con vero slancio; presto fu incominciata una novena. Al termine della medesima il colera sparì come per incanto. Grato per tanto favore, Padre Leone promosse una colletta, anzi egli stesso girò di casa in casa, per raccogliere una somma destinata a fare eseguire a Napoli una statua di Nostra Signora del Sacro Cuore. Il simulacro arrivò verso la fine di settembre dello stesso anno, accolto dal popolo con grande entusiasmo. Questa statua fu poi chiamata comunemente la Madonna di Padre Leone ovvero la Madonna del colera.
Fu in questa circostanza del colera, che il servo di Dio perse suo padre. Questi, già avanzato negli anni, fu colpito dal morbo. Il Servo di Dio gli fu vicino con grande affetto e lo preparò a ben morire. Infatti, il vecchio Nicola tra le braccia del figlio pietoso rese senza alcuna angoscia la sua anima a Dio. Padre Leone rimase ad abitare nella casa paterna con il fratello maggiore, Lorenzo, già ammogliato e con figli.
Qualche anno più tardi nelle campagne di Trinitapoli avvenne una disastrosa invasione di cavallette. I mezzi di disinfestazione impiegati dalle Autorità Civili a nulla valevano per arrestare il flagello. Padre Leone, sollecitato dal popolo nella Chiesa di S. Giuseppe, cominciò un pio esercizio in onore della sua cara Madonna del Sacro Cuore. Nella preghiera che a Lei pubblicamente rivolse, le parlò con tale confidenza e sentimento che sembrava la vedesse. La gente, commossa, ripose tutta la sua fiducia nella bontà della Madre di Dio e nelle preghiere del suo sacerdote. E questa fiducia non fu vana: un vento impetuoso spinse, infatti, quegli innumerevoli animaletti voraci verso il mare, dove diventarono lauto pasto per i pesci.
Nel 1877 il servo di Dio si ammalò gravemente, tanto che i medici l'avevano dato per spacciato. Ma ad un tratto, contro ogni previsione, si riprese completamente. Egli attribuì questa sua guarigione ad una grazia tutta speciale del Signore, il quale sembrava intendesse prolungargli la vita, perché la spendesse per la salvezza dei peccatori. Padre Leone non solo continuò più intensamente il suo apostolato di preghiera e di opere per la salvezza delle anime, ma si offrì come vittima a scontare i peccati altrui. Le sue sofferenze, infatti, andarono sempre più aumentando; la sua esistenza era diventata un incessante martirio da meravigliare quanti lo osservavano. Nei periodi poi in cui la gente cedeva più facilmente alla tentazione del peccato, come in tempo di carnevale, di elezioni, di feste, di bagni al mare, ecc., le sue sofferenze aumentavano tanto, che sembrava agonizzasse. Poco prima di ritornare in Congregazione morì suo fratello Lorenzo. Giuseppe aveva pregato la Madonna perché lo salvasse, essendo padre di numerosa prole. Ma si sentì rispondere dalla Vergine: "Questa volta tu non la vinci! Lorenzo è mio". Allora il Servo di Dio, calmo e rassegnato alla volontà divina, smise di pregare a questo scopo ed annunziò che Lorenzo sarebbe morto dopo dieci giorni. E così difatti avvenne.



Santuario di Pompei

Nel 1880, mutate le circostanze dei tempi, Padre Leone fu richiamato dai Superiori nella Congregazione. Egli fu pronto ad obbedire; ma dovette sostenere un duro confronto con i suoi parenti, specialmente con la cognata, la vedova di suo fratello Lorenzo, la quale giunse a collocare sulla soglia distesi i propri figli per impedire che potesse uscire di casa. Ma il Servo di Dio, deciso a seguire la voce dell'obbedienza, saltò i nipotini e lasciò l'abitazione. Il popolo che lo amava e venerava come un santo, si rassegnò tristemente al distacco. Fece tutto il possibile per trattenerlo, ed al momento della sua partenza con le lacrime agli occhi lo accompagnò fino al treno.
Il Servo di Dio andò direttamente a presentarsi al suo superiore provinciale che allora si trovava a Napoli. Gli fu assegnata come residenza la casa di Angri in provincia di Salerno, e là rimase per 22 anni, fino cioè alla sua santa morte. In casa ricoprì diversi uffici, ed anche quello di superiore. E tale fu la prudenza e la bontà che mostrò nell'assolvimento di queste cariche, che fu riconfermato superiore per altre due volte, e come superiore rese l'anima al cielo.
Ad Angri, nonostante fosse provato nel fisico per le sue sofferenze, continuò ad impegnarsi nelle opere dell'apostolato. Sparsasi la fama della sua santità, dappertutto s'invocava l'opera del suo ministero. Eccettuate le missioni propriamente dette, le cui difficoltà sarebbero state superiori alle sue forze, gli si chiedeva di predicare al popolo, di guidare negli esercizi liturgici il clero e le religiose, di confessare e ammaestrare le anime. Le religiose in modo particolare ricorsero al servo di Dio per la propria santificazione. Numerosi sono infatti i monasteri, nei quali si prodigò nella cura delle anime; e meraviglioso fu il bene che con le sue parole e soprattutto con i suoi esempi produsse nelle anime consacrate a Dio. Da tutte le parti giungevano i fedeli per confessarsi da lui, per chiedere consiglio, per domandare il conforto delle sue parole e delle sue preghiere; e tutti ne ripartivano soddisfatti e consolati nello spirito. Chi non poteva incontrarlo di persona, gli si rivolgeva con lettere, alle quali egli con grande bontà e pazienza rispondeva.
Nei momenti in cui le opere del ministero sacerdotale o le sue infermità lo lasciavano libero, si teneva occupato nella composizione di libri devozionali destinati alla santificazione delle anime. Così scrisse: La lampada eucaristica, Le delizie eucaristiche, La vita interiore del sacerdote, La suora di carità, Le epistolae marianae, I soliloqui sulla passione. Numerose sono anche le canzoncine, anch'esse a carattere devozionale, che compose sull'esempio di S. Alfonso e nelle quali esprime i soavi sentimenti che gli riempivano il cuore.
Per una singolare disposizione divina il servo di Dio diventò il confessore ed il Direttore di spirito del Comm. Avv. Bartolo Longo e della sua degna consorte Contessa Fusco fondatori del Santuario della Madonna del Rosario nella vicina Pompei. Sicché per un ventennio fu uno degli artefici principali delle opere pompeiane. Pur rimanendo in disparte, era l'anima e l'ispiratore delle iniziative di natura religiosa intraprese a Pompei. Tutto veniva ispirato o almeno approvato da Padre Leone. E se qualcosa fu fatto a sua insaputa o contro il suo volere, non andò mai a buon esito.
Un'attività così intensa e feconda, sostenuta da un fisico estenuato da continue sofferenze, sorprendeva tutti e li teneva in costante apprensione per la sua vita. Tuttavia egli, sempre calmo e sereno, portò avanti l'opera affidatagli dal divino   volere, finché non arrivò l'ora segnata da Dio per  andare a ricevere il premio delle sue virtù.

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